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La cultura culinaria siciliana sintesi di inclusione di elementi arabi e latini


La nuova civiltà alimentare dell'Europa tardomedievale, fiorita con la ripresa economica e commerciale dopo la crisi dell'anno Mille, nacque dalla sintesi delle due componenti latina - germanica e con la grande tradizione arabo-persiana .

Per il tramite arabo giunsero infatti in Europa, insieme a nuovi prodotti (come lo zucchero, il riso, gli agrumi, alcune verdure e anche miscele di spezie), i grandi piatti aromatizzati e colorati della cucina orientale a soddisfare il desiderio di lusso e di esotismo, degli aristocratici.

La cucina araba trovò fertile terreno in Sicilia, un paese di grande tradizione alimentare fin dall'epoca degli insediamenti greci, che in quasi due secoli di dominazione araba ha sperimentato un proficuo 'bilinguismo alimentare', e venne poi facilmente trasmessa dalle popolazioni autoctone ai normanni, assai inclini all'epoca alle mode orientali.

I nuovi piatti vennero esportati in Inghilterra, probabilmente durante il regno di Guglielmo II di Sicilia (1166-1189, il quale aveva sposato nel 1177 Giovanna figlia di Enrico II d'Inghilterra), come dimostrano due ricettari anglo-normanni pieni di arabismi che, in seguito tradotti, formano il nucleo dei più antichi libri di cucina inglesi

Ma sarà sotto Federico II che vedremo attuarsi una sintesi coerente dei diversi elementi, con un'indiscutibile presenza di ricette arabe rivisitate secondo i gusti occidentali, con un occhio agli arrosti germanici, senza rinunziare alla tradizione latina nella predilezione per i farinacei e le verdure.

Alla volontà di dotare la corte e tutto il Regno di una raccolta di ricette in volgare come prosecuzione delle ricette normanne (in latino) si collega il ricettario conosciuto come Meridionale A, redatto probabilmente in siciliano 'illustre' (un linguaggio conciso e perspicuo, forse ad opera degli stessi funzionari che poetano in siciliano, ma conservato in una versione assai tarda in un generico dialetto meridionale (Anonimo Meridionale )

L'atteggiamento scientifico della mentalità di Federico si riflette invece nell'attenzione per la dietetica e la conseguente scelta di seguire uno stretto regime alimentare.

Agli interessi dietetico-sanitari si ricollega l'idea di trasformare questa raccolta di leccornie e di piatti speciali arabi in un manuale di cucina di impostazione scientifica che rifletta le caratteristiche della nuova cucina europea, redatto in latino e rivolto non più al Regno, ma all'Impero, o forse a tutto l'Occidente.

Attraverso questi ricettari ci si spalanca il mondo gastronomico della Sicilia federiciana. La componente araba resta sempre preponderante, in primo luogo con gli spezzatini di carne brodettati che rivelano già nella denominazione la loro provenienza: brodo saraceno e scapece (dall'arabo sikbāǧ, agrodolce all'aceto), gelatina, lemonia, sommachia, romania (con il brodetto verde), biancomangiare, festiggia; il battuto di carne speziato (batutum, calco dell'arabo mudaqqaqa) con cui si preparano ravioli e polpettine, la spalla rivestita, il ripieno per le torte; la pasta fresca (lasagna) e secca (tria).

Non manca però l'apporto occidentale, rilevabile in primo luogo nelle basilari modifiche che i piatti arabi subiscono nel processo di adeguamento alle abitudini alimentari europee, nella semplificazione dei procedimenti di cottura, sostituzione del lardo e strutto di maiale al grasso di coda di montone, predilezione del vino nelle salse, ecc.: così i brodetti arabi si trasformano in sapori in cui completare la cottura di carni già avviata, o addirittura in salse da accompagnare ai prediletti arrosti; la stessa sorte spetta anche alle paste che da ingredienti in preparazioni di carne diventano contorni per arrosti (la tria genovese).

In particolare le impressionanti analogie con l'Inghilterra e la Germania, si hanno ad esempio per la 'testa di Turco', un'artificiosa preparazione in pasta ripiena che imita una testa mozza (mentre la coloritura scura e i capelli neri ne indicano la razza orientale), che ritroviamo nei libri di cucina inglesi e in quelli tedeschi e che sopravvive tuttora nella pasticceria siciliana.

Questa sontuosa cucina meridionale si espande verso il Nord per le stesse vie seguite dalla poesia siciliana, la ritroviamo quindi anche in Toscana e in area padana dei ravioli senza crosta .

A Venezia infine viene compilato il Libro del cuoco (Frati, 1899) che riporta tra l'altro due ricette di Manfredi (la "Torta di re Manfredo da fava frescha" e la "Torta Manfreda bona e vantagiata") e una raffinata frittella di formaggio attribuita a Federico II ("fritelle da Imperadore").

La cucina tardomedievale siciliana, che sopravvive se pur modificata per tutto il Rinascimento, è destinata a scomparire dalle mense dei ricchi ma si nasconde nelle pieghe della tradizione bassa e la vediamo in seguito riemergere e raccogliere un rinnovato interesse sotto la specie di succulente e stravaganti specialità regionali, come lo scapece, la genovese, i pasticci di lasagne, la mostarda di Cremona, le pies e il blancmange inglesi, e tante altre.

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